Corte di Cassazione Civ Sez. L Sentenza del 29.08.2002 , n. 12692 – Integrale

Corte di Cassazione Civ Sez. L

Sentenza del 29.08.2002 , n. 12692 – Integrale 

LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO – IN GENERE

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Nuoro G. F. esponeva di lavorare alle dipendenze dell’Ente Poste Italiane con la qualifica di Dirigente Principale di Esercizio presso l’ufficio Succursale n. 3 di Nuoro e di avere fatto, in data 14 dicembre 1994, domanda (a seguito della sentenza n. 166/94 del T.A.R. Sardegna) per l’assegnazione ex art. 33, comma quinto, legge 104/1992, del posto di dirigenza dell’Ufficio di Dorgali, stante il suo stato di unico familiare della madre L. C., malata ed invalida con diritto ai benefici della legge citata.

Aggiungeva che, avendo sollecitato numerose volte, e senza esito, riscontri alla sua richiesta, si vedeva costretto a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria e, pertanto, chiedeva che venisse dichiarata le illegittimità del provvedimento di ricollocazione della Sig.ra M. E. V. all’Agenzia di Base di Dorgali dell’Ente Poste Italiane nonché l’illegittimità del mancato provvedimento di distacco temporaneo di esso F. alla suddetta Agenzia, con condanna dell’Ente al risarcimento dei danni, in proprio favore, causati dai provvedimenti illegittimi impugnati, nella misura di lire 60.000.000 o in quella ritenuta equa, oltre vittoria di spese.

L’Ente Poste si costituiva resistendo al ricorso con articolate argomentazioni.

Con sentenza dell’11 febbraio – 3 aprile 1997, il Pretore rigettava la domanda, ritenendo la insussistenza del diritto, vantato dal ricorrente, di ottenere il richiesto mutamento del luogo dove esercitare l’attività lavorativa, ai sensi dell’art. 33 comma V della legge 104 del 1992, in assenza delle condizioni occorrenti a tal fine per il riconoscimento del beneficio ed, in particolare, tenuto conto delle condizioni d’organico e del carico di lavoro della sede di provenienza dello stesso F., che non consentivano l’invocato trasferimento senza creare disservizi intollerabili per l’Ente, e della situazione dell’ufficio di destinazione sotto il profilo del carico di lavoro e dell’organico in servizio.

Avverso tale decisione proponeva appello il F. denunciando come erronea la decisione di primo grado, specie sotto il profilo del mancato accertamento della illegittimità, in quanto immotivata, della reintegrazione di altra dipendente (M. E. V.) presso l’ufficio di Dorgali, e, per converso, del mancato riconoscimento del proprio diritto ad esservi distaccato ai sensi dell’art. 33, comma V della legge citata.

Ricostituitosi il contraddittorio, l’Ente Poste contestava il gravame, chiedendone il rigetto. La V. rimaneva contumace.

Con sentenza del 24 – 30 marzo 1999, l’adito Tribunale di Nuoro, condividendo le motivazioni del Giudice di primo grado, rigettava l’appello.

Per la cassazione di tale decisione ricorre G. F. con un unico, articolato motivo. Resiste la Poste Italiane s.p.a. con controricorso. M. E. V. non si è costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 116 c. p.c. in relazione: a) al disposto della sentenza n. 166/94 del T.A.R. Sardegna; b) alle disposizioni impartite con la Nota Centrale UL/2105/5 del 9 novembre 1994 per dare esecuzione alla suddetta sentenza, c) alle disposizioni della Circolare Centrale 2/ter del 28 agosto 1994 richiamata espressamente dalla Nota sub b); d) agli impegni assunti dalla Direzione Provinciale di Nuoro con Nota Prot. 36784/PC/CNS del 10 dicembre 1994; e) alle disposizioni di cui alla Circolare n. 2 Prot. DG/2803 del 2 aprile 1994 dell’Ente Poste in merito all’applicazione dell’art. 33 comma 5 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 e richiamate dalla Sede della Sardegna con Nota Prot. 010193/I/MRC del 7 gennaio 1995, “attraverso la reiterata se non omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa i prospettati punti decisivi della controversia” (art. 360 n. 5 c. p.c.).

Più precisamente, il ricorrente, dopo avere ricostruito gli sviluppi dei molteplici eventi giudiziari, riguardanti la vicenda in oggetto, ripercorrendo, in parte, questioni di fatto sottoposte ai giudici di merito, ed altre, poste fuori del processo, ancorché connesse; e dopo avere puntualizzato di essere stato trasferito, come richiesto, all’ufficio di Dorgali solo con decorrenza dall’1 febbraio 1997, mostra di dolersi della omessa o, comunque, inadeguata motivazione in ordine alla valutazione di detti fatti, che, correttamente considerati, avrebbero condotto ad affermare il proprio diritto al trasferimento richiesto, sulla base dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, con conseguente condanna della società Poste Italiane al risarcimento dei danni derivati dalla “tardività” del provvedimento.

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che l’art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104 (applicabile alla fattispecie ratione temporis), detta testualmente: “il genitore o familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

Tale disposizione -come chiarito da questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla materia (cfr., in particolare, Cass. 20 gennaio 2001 n. 829)- fa parte di una normativa, quella della legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate, il cui complessivo disegno è fondato sull’esigenza di perseguire un evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, qual’è quello di garantire in tutto il territorio nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionalmente fondamentali dei soggetti portatori di handicaps (cfr. in tali sensi Corte Cost. 29 ottobre 1992 n. 406).

Si è venuta così a realizzare una tutela del portatore di handicap destinata ad incidere in settori diversi, prevedendosi interventi di tipo sanitario ed assistenziale, forme concrete di integrazione scolastica e di inserimento nel campo della formazione professionale e nell’ambiente di lavoro, e contemplandosi altresì l’eliminazione di tutti quegli ostacoli quali, ad esempio, le barriere architettoniche) che limitano il regolare dispiegarsi della vita di relazione per ledere -attraverso un non completa possibilità di esercizio di diritti costituzionalmente garantiti- la sua “persona”.

In tale contesto normativo non poteva non attribuirsi il dovuto rilievo anche all’istituto familiare perché non vi è forse settore in cui la dedizione alla famiglia risulti maggiormente utile di quanto lo sia per l’assistenza ed il sostegno degli handicappati.

Ed appunto in un ottica di adeguato soddisfacimento delle indicate esigenze va letto l’art. 33 della legge n. 104 del 1992, e -per quanto attiene alla presente decisione- il quinto comma di detto articolo, che tende al “mantenimento” della convivenza tra il genitore e il lavoratore familiare -con rapporto di lavoro pubblico e privato- ed un suo parente o affine entro il terzo grado handicappato, assistito con continuità. Il lavoratore, infatti, ha diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio ed, inoltre, non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Tale diritto che trova la sua ratio nell’esigenza di evitare l’interruzione dell’effettiva ed attuale convivenza, che potrebbe avere negative ricadute sullo stato fisico e psichico dell’handicappato, non risulta però illimitato.

Ed invero, come è dimostrato dall’inciso “ove possibile”, di cui al citato quinto comma dell’art. 33, il diritto alla effettiva tutela dell’handicappato, al cui perseguimento devono partecipare anche lo Stato, gli enti locali e le Regioni, nel quadro dei principi posti dalla legge -e secondo le modalità ed i limiti necessari ad assicurare l’effettiva soddisfazione dell’interesse comune- potrebbe non essere fatto valere, alla stregua del generale principio del bilanciamento degli interessi, allorquando l’esercizio del diritto stesso venga a ledere le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro perchÈ tutto ciò – segnatamente per quanto attiene ai rapporti di pubblico impiego può tradursi in un danno per la collettività.

Correttamente, pertanto, il Tribunale di Nuoro, ha tenuto a precisare che la situazione giuridica volta al riconoscimento del beneficio invocato dal F., e conseguente alla presentazione della domanda di trasferimento o di applicazione col corredo della documentazione richiesta ai fini dello stesso beneficio (tra cui l’attestazione della necessità di assistenza della propria madre per effetto della sua inabilità), non poteva essere ritenuta espressione di un diritto soggettivo assoluto e privo di condizioni.

Coerentemente con siffatta osservazione il Giudice a quo, nel pervenire alle sue conclusioni, ha fatto riferimento a dati oggettivi esterni alla situazione soggettiva del richiedente, relativi, da un lato, all’ufficio di destinazione oggetto di domanda, e, dall’altro, all’ufficio di provenienza dello stesso istante; più in generale, alle esigenze organizzative dell’azienda interessata al trasferimento.

Sotto i suddetti profili il Tribunale ha tenuto a chiarire che era da condividere la valutazione del Pretore secondo cui le condizioni dell’organico ed il carico di lavoro dell’ufficio di provenienza del ricorrente ed, al contempo, le necessità organizzative dell’Ente, che il trasferimento, ovvero il distacco del F., in assenza di possibilità di immediato rimpiazzo, avrebbero creato oggettivi disservizi per detto Ente. Non poteva quest’ultimo, infatti -ad avviso del Tribunale-, essere obbligato a restare privo di direttore (qualità pacificamente documentata in atti) in relazione all’ufficio in parola, anche tenuto conto delle specifiche attribuzioni dello stesso, avuto riguardo alla detenzione delle chiavi della cassaforte ed ai correlati incombenti riguardanti la consegna dei valori; tanto più che assumevano assorbente rilievo le esigenze organizzative e produttive dell’azienda, e la considerazione delle finalità pubblicistiche del servizio svolto, che imponevano una efficiente organizzazione degli uffici ed una razionale distribuzione del personale nelle sedi alla stregua della situazione globale del servizio e delle risorse, anche personali, da gestire.

Ne derivava che lo stesso Ente non poteva correttamente, anche in via indiretta, neppure essere costretto alla utilizzazione di personale con mansioni inferiori per ricoprire il posto di dirigente rimasto scoperto.

Ma il Tribunale ha anche preso in considerazione l’obbligo imposto dalla sentenza n. 166/94 del TAR Sardegna -richiamata dal ricorrente- di valutazione comparativa delle posizioni di entrambi i richiedenti in causa (il F. appunto, e M. E. V.), ritenendo assolto tale obbligo, in quanto era risultata provata, sulla base delle eccezioni interposte e delle difese svolte dalla convenuta in primo grado, la scelta operata comparativamente allorchÈ l’Ente aveva preferito la detta V. al ricorrente per l’assegnazione del menzionato ufficio di Dorgali, alla stregua in particolare delle condizioni di organico e del carico di lavoro delle sedi interessate dalle richieste di trasferimento e delle esigenze dell’Ente, come sopra richiamate.

Appare, inoltre, corretta la sentenza impugnata sul punto della necessità o meno di un onere di motivazione del provvedimento di denegato trasferimento, alla luce della giurisprudenza di questa Corte per la quale l’onere del datore di lavoro di indicare le ragioni poste sulla base del trasferimento del lavoratore (ovvero, può ritenersi, del mancato trasferimento) sorge soltanto a seguito di una esplicita richiesta -nella specie neppure dedotta- di quest’ultimo, non essendo all’uopo sufficiente una mera contestazione (in forma scritta) dell’operato del datore di lavoro (ex plurimis, Cass. 18 febbraio 1994 n. 1563), fermo restando la necessità di svolgere i richiesti accertamenti in caso di contestazione giudiziale.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, non ravvisandosi, nella impugnata decisione, né violazioni di legge né vizi di motivazione.

Stimasi compensare tra le parti costituite le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti costituite le spese del presente giudizio.