Estratto dal rapporto sul terzo settore a
Roma elaborato da Lunaria per OPER –
Osservatorio per l’economia romana
Dinamiche e sviluppo occupazionale
Nel terzo settore a Roma sono impiegati
124 mila lavoratori (il 19,7% del totale del
non profit in Italia), di cui quasi 105 mila
dipendenti, oltre 4 mila lavoratori distaccati
e 15 mila circa collaboratori. Se si considera
il numero medio di lavoratori retribuiti
per organizzazione di terzo settore a
Roma, è possibile rendersi conto come
questo sia notevolmente più alto della
media nazionale: complessivamente, nell’area
comunale di Roma, vi sono quasi 12
lavoratori retribuiti per ogni istituzione
non profit, di questi 10 sono lavoratori dipendenti.
Il dato nazionale ci dice che,
mediamente, sono 3 i lavoratori retribuiti
per ogni istituzione non profit, di cui la
quasi totalità (2,4 per istituzione) sono lavoratori
dipendenti.
La capacità di ampliare la base occupazionale
è sicuramente ancorata a due fattori,
la dimensione di budget e le risorse finanziarie.
Introducendo il dato relativo alla dimensione
delle entrate, si evince che l’utilizzo
di quest’ultima forma contrattuale, a
Roma, è accentuata presso le organizzazioni
non profit con entrate maggiori di 130
mila euro (oltre i 250 milioni di lire) annue.
Le organizzazioni di terzo settore di più
piccole dimensioni di budget e meno ancorate
al sostegno finanziario pubblico, attraverso
soprattutto la stipula di convenzioni,
non risultano in grado di avere al loro interIL
LAVORO ED IL TERZO SETTORE A ROMA 14 15
3. controllo democratico dell’organizzazione
da parte di tutti i lavoratori:
partecipazione, diritto di controllo
e di veto su alcune decisioni
da parte di tutti, sedi di discussione
e decisionali identificabili e partecipate,
controllo insomma sull’intero
processo produttivo;
4. autonomia (almeno in parte) dei
lavoratori nella progettazione e realizzazione
del lavoro: divisione funzionale
di ruoli e mansioni ma coordinamento
comune delle attività e
delle decisioni;
5. opportunità di formazione, crescita,
miglioramento personale: autoformazione,
o momenti per la riqualificazione,
o possibile carriera personale o
collettiva con progressiva assunzione
di nuove responsabilità, ecc.;
6. flessibilità autodeterminata: possibilità
di decidere collettivamente
quale deve essere il rapporto orariosalario,
quali devono essere le regole
interne, quali i tempi di lavoro, attraverso
una considerazione delle
esigenze della struttura, dei committenti,
dei lavoratori stessi;
7. finalità anche extraproduttive:
svolgimento di attività di utilità sociale,
o creazione di reddito e di
qualità del lavoro, o miglioramento
della qualità della vita del territorio;
8. indipendenza da un unico committente:
presenza del maggior numero di
committenti possibili, sia per chi lavora
sul mercato che con gli enti pubblici.
E’ necessario ricordare che spesso
la cattiva gestione, anche dei rapporti
di lavoro, all’interno di strutture
del terzo settore, deriva dal rapporto
con l’ente pubblico come unico
committente: gli appalti al ribasso
e l’irregolarità dei pagamenti influiscono
negativamente sulla pos- sibilità di creare occupazione e di buona qualità. Il moltiplicarsi di strutture di la- voro autodeterminato, invece, contribuirebbe a: – creare nuova occupazione; – migliorare la qualità dell’occupazione; – migliorare la qualità dell’organizza- zione interna; – creare utilità sociale e innalzamen- to della qualità della vita nel territo- rio d’apparenza. Tali strutture potrebbero essere so- stenute dalle istituzioni attraverso i seguenti provvedimenti: – incentivi a queste organizzazioni da parte dello Stato, come ad esem- pio l’abbattimento del costo del la- voro attraverso la fiscalizzazione de- gli oneri sociali; – contributo da parte delle autorità locali nella ricerca e locazione di se- di operative; – modalità di finanziamento e appalto che rispettino i requisiti di autonomia e democrazia interna dei finanziati. Bisogna però considerare la diffi- coltà ad identificare le strutture di lavoro autodeterminato in base ad indicatori oggettivi, identifica- zione necessaria a farle oggetto di benefici: se la natura non pro- fit, il numero di operatori e i com- mittenti sono deducibili da un controllo esterno, le altre caratte- ristiche richiedono una valutazio- ne qualitativa ancora difficoltosa per un ente pubblico. E’ su que- sto che occorre lavorare con poli- tiche di contesto e iniziative cul- turali a vasto raggio. *Responsabile formazione di “Lunaria”
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Un’analisi qualitativa del lavoro
nella cooperazione sociale
Quando si ragiona della capacità dinamica
del terzo settore e delle prospettive
di crescita, uno degli elementi
da tenere maggiormente in
considerazione è il fattore occupazionale.
Uno dei tratti caratteristici dell’impresa
sociale è infatti quello di
avere un alto grado di intensità di lavoro
e, conseguentemente, un buon
rapporto tra tasso di crescita e nuova
occupazione creata. Naturalmente, lo
si è visto nel quadro numerico generale
all’inizio di questo rapporto, ma
è bene ricordarlo, un larghissimo numero
di soggetti di terzo settore non
creano lavoro né vogliono farlo, altri
ne creano pochissimo e fanno largo
uso di volontariato e una terza componente,
più piccola per numero ma
grande per bilanci e numero di occupati
è quella cui fa riferimento questa
capacità occupazionale.
Questo stesso quadro, presenta però
una gamma di posizioni, possibilità,
forme contrattuali, livelli di retribuzione
e garanzie, molto sfaccettato, e per
questo va approfondito, oltre che dal
punto di vista quantitativo, anche in
termini qualitativi. Fornire un quadro
completo è molto difficile. Per questo
rapporto sono state effettuate 37 interviste
a lavoratori stabilmente occupati
da almeno 12 mesi nel terzo settore,
indagando alcuni aspetti della
loro relazione contrattuale e della loro
vita lavorativa. Pur trattandosi di un
campione molto ristretto, il quadro
che ne esce è molto diverso da quello
relativo all’offerta di lavoro che si manifesta
attraverso l’invio di curriculum
al data base di Lunaria (cfr. par. La do- 16 manda di lavoro dei giovani nel terzo
no una base occupazionale più stabile
né tanto meno in grado di svilupparsi
da un punto di vista occupazionale.
Sono, invece, 176 mila le persone non
retribuite nel terzo settore romano: 141
mila circa sono volontari (il 4,4% dei volontari
del totale in Italia, che ricordiamo
essere pari a 3,2 milioni di persone),
28 mila sono i religiosi e quasi 7
mila gli obiettori di coscienza. Mentre
la presenza media di volontari per organizzazione
non profit a Roma, pari a
13,4 volontari per istituzione, rispecchia
la media nazionale, lo stesso non può
dirsi per quanto riguarda la presenza di
religiosi e di obiettori di coscienza: il
25,2% degli obiettori presenti sul totale
del non profit in Italia e il 29,5% dei religiosi
del totale in Italia dimostrano
una elevata concentrazione di queste
figure nel terzo settore romano.
Tre, in sintesi, gli elementi rilevanti
del dato occupazionale nel terzo settore
a Roma: un numero alto di occupati
rispetto al totale nazionale, dimensioni
occupazionali medie molto
più grandi di quella nazionale, la
concentrazione dei soggetti di terzo
settore nelle classi di budget più alte.
Queste tre caratteristiche fotografano
un settore nel quale l’occupazione
nei servizi alla persona (almeno
parzialmente sostitutiva di quella
pubblica) e il livello nazionale di attività
sono determinanti nel quadro occupazionale
del nonprofit romano. La
conferma di un terzo settore poco radicato
sul territorio (se si esclude la
parte importante delle cooperative
sociali) è data dal numero di volontari,
molto più basso rispetto ad altre
realtà geografiche, dove il terzo settore
è meno pesante in termini di bilancio
e occupati.